Fabiola Naldi

In an expression of the inexpressible. L’incognita della diversità (catalogo mostra Z-Movie, Nicola Ricci Arte Contemporanea, Pietrasanta, 2003)

Credo sia inevitabile spostare i propri limiti e confini quando la necessità, vincolata alla ricerca, lo richiede. Lo sa bene Karin Andersen che da diversi anni viaggia fra le dimensioni infinite della sua fantasia infarcita e decorata di un gustoso e ricco immaginario visivo liberamente tratto dall’iconografia massmediale.
Ho intrapreso anch’io il medesimo viaggio speranzosa, ogni volta, di potermi rifugiare in rassicuranti luoghi frutti di un’accesa immaginazione. Ma con Karin Andersen e le sue figure alienanti non è possibile. Ogni immagine, fotografica o pittorica, è figlia di una totale immersione negli spazi del “tutto è possibile” in cui la realtà si fonde con una finzione liberamente suggerita dalle sit-com televisive americane degli anni Sessanta e Settanta.
Per questo nuovo progetto alla Galleria Nicola Ricci Arte Contemporanea il viaggio fantastico dei personaggi dell’artista parte da una base reale (New York City è il centro di smistamento di questi nuovi astronauti dell’artificio), per giungere a una meta altrettanto reale (le cave di marmo di Carrara), armato di uno scopo preciso.
Questi luoghi, riconoscibili dall’esperienza umana, sono resi dall’intervento dell’artista extraterrestri come gli stessi alieni che li popolano, a testimonianza del fatto che ciò che spesso riconosciamo come “vero” forse tanto vero non lo è.
Spostare i limiti del riconoscibile e del credibile è uno dei punti nevralgici della ricerca della Andersen che, con noi, si diverte a prolungare la soglia della nostra percezione attraverso inserimenti virtuali nell’atto di fondersi con particelle reali di esperienza quotidiana.
La cancellazione del dato iconografico consolatorio e rassicurante viene magistralmente diretto dall’intervento manuale e tecnologico della regista artistica che, ironicamente, ci preleva dalle nostre case (così come i suoi personaggi) e ci conduce semplicemente altrove.
Nessun mistero sulla destinazione del viaggio, nessuna sadica volontà di lasciarci in balia delle nostre paure. Il percorso intrapreso serve semplicemente a spostare i limiti della nostra fantasia sempre più atrofizzata dall’immagine confezionata con l’intento di narcotizzare i nostri sensi.
Ma questo non è l’intento di Karin Andersen. Al contrario, scegliere visi di amici o il proprio per modificarli con protesi, trucchi e travestimenti arditi, è funzionale al ribaltamento percettivo scaturito dall’innaturale riconoscimento delle mutazioni aggiunte e dalla conseguente stimolazione sinestetica.
I nuovi astronauti dell’immaginazione si sono trasformati. Le loro sembianze hanno preso possesso di diverse nature (umane e animali) forse per meglio resistere a questi strani spostamenti “estetici”; gli effetti speciali utilizzati sono, però, semplici, casalinghi, quasi a dimostrare che non ci vuole molto per “modificarci” più di quanto non stia facendo la realtà delle cose attorno a noi.
La pelle del mondo, attualmente tanto sensibile quanto impazzita dalle nostre stesse manipolazioni, si è concessa la libertà di potersi divertire con chiunque gli capiti a tiro, anche quando l’intervento intenzionale parte da una riflessione artistica e non da una scientifica o fantascientifica. E per meglio attestare tale spostamento visivo l’artista si è servita totalmente della fotografia con il suo principio interno di verità autenticata.
Non più quindi il passaggio fotografico (così come è sempre stato per il procedimento adottato dalla Andersen) solo per giungere a un finale pittorico, bensì la totale adesione alla soluzione meccanica fotosensibile in cui imprimere, con l’aiuto della tecnologia più sofisticata in low budget, ovvero a bassi costi, le apparenze più artificiose ed ardite.
Karin Andersen ha scelto la galleria di Nicola Ricci per mostrare un’altra plausibile possibilità del suo viaggio fantastico fra icone pop del nostro immaginario e fra una enorme catalogo di visioni prelevate dai contesti più diversi.
I nuovi mutanti si distinguono dagli umani per le strane orecchie ingrandite e pelose come quelle dei cani e si aggirano fra tanti e differenti paesaggi urbani in atteggiamento di ascolto e di ricezione. Pare stiano aspettando una qualche forma di segnale che li possa connettere con un’altra possibile forma di realtà.
Il viaggio ha inizio: gli astronauti sono pronti, l’equipaggiamento è pronto, i luoghi ospitanti sanno che presto verranno abbandonati per altre mete e la registrazione fotografica manipolata della Andersen documenta l’impresa.
L’iniziativa dei nuovi pionieri virtuali si sviluppa sulle pareti della galleria così come fra le ambientazioni urbane fra le quali si riconosce la città di New York. La città satellite per eccellenza si presta a essere la base di lancio del progetto e, neutra quanto può, lascia che i suoi astronauti mutanti prendano coraggio, sintonizzino le proprie antenne e procedano nell’impresa.
Si giunge così in un altro spazio tangibile, le cave di marmo di Carrara, geograficamente non molto distanti dalla galleria, su cui atterrano i figli del nuovo mondo pronti a fermarsi, a riposare e a rimettersi in contatto con altre possibili alternanze di genere.
Forse aspettano noi, speranzosi di un finale riconoscimento e accettazione, forse aspettano i propri simili (ma ne esistono altri? Solo l’artista può saperlo) o semplicemente tentano una possibile sopravvivenza in un universo scomodo e poco piacevole.
A noi non è dato incontrarli. Li possiamo immaginare mentre atterrano fra le polverose caverne bianche e vederli grazie alla “trasmissione di frequenza” della Andersen che si fa loro unica portavoce.
E solo dopo possiamo partecipare con la stessa artista della loro presenza fra noi.
Non ci rimane che una documentazione fotografica; tante immagini che testimoniano il loro passaggio, e forse la loro permanenza, fra i luoghi meno visibili o fra gli spazi meno sospetti. L’anomalia non è quindi da ricercare fra loro ma forse fra tutti coloro che ancora non hanno preso coscienza di una loro possibile e reale presenza.
Fidatevi quindi delle fotografie di Karin Andersen, altro non abbiamo…

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