Sentivo passare le vetture davanti alla cancellata del giardino, e a volte le vedevo anche tra le aperture scarsamente mosse dal fogliame. (Franz Kafka, Bimbi sulla via maestra)
Gilles Deleuze diceva che nella pittura novecentesca c’erano state due vie di fuga dal verosimile per approssimarsi al vero: una astrattista, l’altra espressionista. Per oltrepassare il limite dell’apparenza era diventata necessaria la negazione della figura; oppure una sorta di violazione della figura stessa che la sottraesse alla gabbia del figurativo per consegnarla ad una forma nuova, appunto non astratta: il figurale (questa la strada scelta da Bacon che stravolgeva le figure ma non le negava: le esasperava verso la verità, facendo suo il mai-reale-sempre-vero di Artaud.).
Ebbene, così si muove Karin Andersen: si ritrae come un oggetto/insetto, un mutante non più donna, che si emancipa dalla sua condizione umana (e femminile). Ma non aspira a una evoluzione modellata sull’esempio umano, aspira a una bestialità post-umana dove ritrovarsi trasfigurata,ridisegnata, rinata. E, proprio come un animale, si allarma, si pavoneggia, osserva, svolazza, scappa braccata. La condizione irriducibilmente negata all’uomo è la pura presenza, quell’essere-senza-pensiero che ha, per esempio, un leone quando si toglie le mosche dalla schiena con la coda e guarda: il mondo, la savana, il niente. Questa dimensione assolutamente impossibile all’uomo, nei soggetti di Karin Andersen presenta il disagio della frizione: la fatica di essere animale in un mondo di uomini, sentirsi nei panni di; perché essere altro rispetto al modello vincente è doloroso: come essere donna è socialmente doloroso. E’ il discorso antico-moderno sulla diversità: finché non si trova la forza di trasformarla in un osservatorio privilegiato, fa male, ammacca lo spirito & il corpo. E allora sia legittimata questa lettura in chiave femminista: non nel senso di lotta fra i sessi per affermare un neo-tipo fondamentalmente ricalcato su un prototipo sbagliato, ma nel senso (ultra-femminista, inteso come travalicamento anche delle rivendicazioni del femminismo) del superamento della condizione umana tout-court: verso una nuova bestialità che, sgravata di quel che resta dell’uomo … faticosa crisalide obbligata da cui uscire ri-animalizzati … ci recuperi alla libertà.
Nel frattempo: impariamo a osservare questi uomini stupidi da dietro le foglie, osserviamo la loro bétise. Come i bambini di Kafka.