Claudia Attimonelli e Vincenzo Valentino Susca

Nous AUTRES – Studi teriografici sul divenire

Karin Andersen, artista multimediale nata a Burghausen (Germania) e da tempo residente a Bologna, torna con una personale alla Traffic Gallery di Bergamo in cui propone nuovi risultati della sua indagine ai confini con l’umano. Da sempre interessata a svelare in modo giocoso e ineluttabile quegli interstizi, nascosti ai più, dove la natura tecno-animale preme perché affiori l’Altro, questa volta l’artista ammette anche la presenza del pubblico a sbirciare fugace nel luogo dove il suo immaginario diviene oggettivo e dà vita alle creature che lo abitano. Sempre più distante dall’idea antropocentrica del creato, Karin Andersen sposa una genealogia antropoeccentrica, di cui questa esposizione rende conto tramite linguaggi pittorici, grafici, fotografici, audiovisuali, eteromaterici, scenografici e coreografici1.

Da un lato della mostra vi è, infatti, il laboratorio dove finalmente abbiamo accesso alla visione dei passaggi di stato e delle condizioni metamorfiche cui sono soggette le creature meravigliose della Andersen: alcuni oggetti transizionali da una Umwelt (ambiente abitato) ad un’altra, quali curiose muffe e paste modellabili fissate lì in procinto del loro divenire. In un altro ambiente, ecco trionfare, discreta e trasognante, la rassegna tutt’altro che autoreferenziale, bensì eteroreferenziale di soggetti che trovano sublime collocazione non più fra le fila degli umani bizzarri, quanto tra le pieghe del quotidiano più intimo e familiare. Da lontano vediamo avanzare Angelus Novissimus, una degna figura testimone del nuovo millennio e proveniente dalla stessa stirpe dell’Angelus Novus di Paul Klee (1920), ma questa volta più leggiadro malgrado le rovine su cui poggia i piedi ; avvicinandoci agli altri, sentiamo un’irrefrenabile ancorché indescrivibile prossimità con la giovane creatura al desco solitaria, prima che essa si intrecci con l’Altro da sé e se ne nutra, a fondo; ancora ammaliati dall’abbraccio delle goffe bestiole accanto all’oblò innevato, desideriamo sostenere e accompagnare all’esodo l’animale magico e vermiglio che ci attraversa la strada portando in salvo tre rari esemplari in fuga dall’ignoto.

Così, dalla spessa pellicola dell’umanesimo che la Andersen, fin dagli anni Novanta, ha tenacemente reso permeabile alle spore provenienti dall’ambiente fertile del post-umano, si stagliano le linee delle sue creature più antiche e si scorgono i bozzoli già schiusi di quelle più recenti. La fisiognomica amorale (titolo della serie presentata ad Arte Fiera 2012 nello stand di Traffic Gallery) dei suoi personaggi racconta di un’alterità quale cifra comune dell’umano, laddove Nous Autres – Noi Altri, siamo, per l’appunto, noi stessi proprio essendo percorsi da Altri, attraversati da ciò che è altro da noi e dall’altro resi Noi stessi. La galleria di creature forgiate dallo sguardo lucido e visionario dell’artista non è tanto un’esibizione di diversità, quanto un’interazione con l’alterità, uno stato del divenire nel quale ciascuno di noi quotidianamente si ritrova, molle e cedevole, anche solo per un istante, suo malgrado riconoscendovisi. Sì, ci riconosciamo forse nello spaesamento reso tenero degli animali che si proteggono tra loro, nel capriccio delle orecchie a punta, in una coda e in una rada peluria tradita dallo strappo di una stoffa, un profilo caprino, una fessura che evidenzia la pelle maculata, una postura che ammette un certo disagio nell’essere sulla soglia dei mondi. A tratti maldestre, le creature di Karin Andersen sono presenti da tempo nell’immaginario quotidiano, le abbiamo trascurate solo quando abbiamo obliato il politeismo che presiede la nostra esistenza, ma esse albergano nei nostri sogni algidi del mattino e costituiscono l’accesso ad un interstizio di grazia. Esse vivono in uno stato che richiede continua traduzione, sia in quanto interpretazione – che cosa e chi sono questi esseri? – sia in quanto trasferimento e trasformazione da uno stato ad un altro.

L’opera dell’artista in questa personale dal sottotitolo emblematico: Studi teriografici sul divenire, si propone di illustrare in quanti modi si possa abbracciare l’idea del divenire: non è (solo) l’incontro tra l’umano e l’animale, che pur è evidente e lascia il segno, bensì trattasi di uno spazio coerente proprio perché precario e mai definitivo, dove interagiscono in filigrana l’intervento manuale e il tocco digitale. All’artista interessa precipuamente quell’interzona dove sismograficamente avvertiamo la scossa tra i vecchi paradigmi che designavano credibilità all’arte originale e autentica, screditando l’artificio e la tecnologia in quanto fautori di immaginari falsi. Con Nous Autres siamo portati a credere che lo spazio reale è un luogo nutrito di un immaginario potentemente divino la cui sacralità è, tuttavia, affidata ai gesti semplici di ogni giorno. Sbocconcellare, correre un po’ affannati, attraversare la strada smarriti, trovarsi sulla sommità di un cumulo di macerie, sfidare un amico e cadere innamorati.

Karin Andersen coglie questa sublime rivelazione dell’essere e la chiama teriomorfismo (K. Andersen, R. Marchesini Animal Appeal. Uno studio sul teriomorfismo, 2003). A differenza dello zoomorfismo, che significa prendere le forme di un animale, il teriomorfismo è una delle modalità, oggi prevalentemente estetica, attraverso cui può emergere vistosamente uno scenario transumano, il quale, pur partendo dall’umano assume di volta in volta connotati, appendici, e organi animali. Dal greco antico, ϑηριο «terio» è la bestia feroce, e μορϕος «morfos», la forma: “A forma di bestia feroce”. A ben guardare qui nessuno degli esseri rappresentati ostenta ferocia. A rendere feroce la forma è la verità della sutura stessa tra il mondo animale ancestrale e quello umano che crediamo di conoscere. Uno spettacolo reale, nel quale, come nei tempi antichi, e secondo il teriomorfismo, si dava volto e senso alle divinità, raffigurandone le fattezze in modo ibrido. La Sfinge, Ganesh, il Coyote ed altri miti archetipali erano non tanto la sintesi, quanto il superamento dell’identità umana, raggiunto attraversando a passo di danza tutti i mondi possibili.

Stampe, disegni, amabili resti e financo videodocumentari di metamorfosi fantastiche e reali sono le opere scelte a testimoniare l’essenza di Nous Autres – Noi Altri. Ormai da tempo il “noi” su cui si è retta la nostra civiltà è in crisi, vive una fase di decadenza, di saturazione e forse anche di convalescenza. Karin Andersen, con Nous Autres, non ci propone né una soluzione del problema, né una via d’uscita e neanche un rinnovamento dell’umano dovuto alla possibile accoglienza dell’altro. Ci pone, invece, al cospetto di figure che ci stanno sussurrando con uno sguardo intriso di malinconia e al contempo di stupefazione ciò che è già avvenuto nel nostro immaginario e che emerge progressivamente tra i pori della nostra carne: una mutazione radicale ma ciò nonostante dolce, un cambiamento di pelle e di sostanza in cui c’è ancora spazio per l’incantesimo. E per la danza.

Ispirazioni di Walter Benjamin, Paul Klee, Emmanuel Lévinas, Marshall H. McLuhan

1 A tal proposito ricordiamo che l’attuale personale presenta opere frutto di passaggi successivi a feconde collaborazioni dell’artista con Les Cahiers européens de l’Imaginaire (Cnrs Paris), rispettivamente per i seguenti numeri monografici: L’amour – N. 4, Manger Ensemble – N. 5, Le Fake – N. 6 e Baroque – N. 7; così come i lavori della serie Angelus Novissimus sono stati concepiti per far parte dell’insieme della piéce omonima scritta a quattro mani da Alain Behar e Vincenzo V. Susca 2014.

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